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La fermentazione del tempo

Il caldo dell’estate in Giappone fa sentire un fastidio assolutamente anormale, che viene dall’umidità dell’aria e dai raggi del sole. Stare senza l’aria condizionata dà una sensazione strana, come se avessimo la testa bollente. Il periodo più caldo é all’inizio di agosto; il 6 agosto Hiroshima é stata distrutta da una bomba atomica. Quest’anno sono stata con mia madre alla sessantaseiesima cerimonia commemorativa per la pace di Hiroshima; volevo mettere un fiore davanti alle vittime del bombardamento e anche ai morti del terremoto di quest’anno nel nord est del Giappone. Nonostante siano trascorsi sessantasei anni dal bombardamento, ho capito che il dolore delle vittime e dei sopravvissuti non è passato veramente, non solo per i postumi delle malattie causate dalle radiazioni, ma anche per i ricordi che ancora oggi fanno molto soffrire. Quel giorno Hiroshima diventa un luogo nel quale i temi della pace sono vivacemente discussi. Qua e là nella città, si svolge la frequentatissima conferenza sulla pace e quest’anno anche sull’uso del reattore nucleare per produrre energia elettrica. Tutti si chiedevano, “perché non potevamo impedire l’incidente della centrale nucleare di Fukushima dopo quello che abbiamo tragicamente imparato?”, e da ogni parte ho sentito parole di rimorso. Tornando all’albergo siamo entrate in una chiesa cattolica; sulla porta c’e scritto “Noi diamo il benvenuto a tutti, di qualsiasi religione”. Stava cominciando la messa pomeridiana, insieme ad un concerto per pianoforte eseguito su uno strumento che era stato danneggiato pur essendo a 13 Km dall’esplosione. Nel fianco del pianoforte ci sono dei buchi neri causati da frammenti di vetro portati dal vento caldo nel momento del esplosione. Come piccole voci i tasti ci raccontano la loro storia. La pianista era una signora cinquantenne, una seconda generazione immigrata in Giappone dalla Corea. Ha suonato veramente bene e, tra un brano e altro, ha raccontato di suo padre e di quello che nella sua vita aveva dovuto sopportale dal governo giapponese. Il padre era un prete della chiesa cattolica coreana a Kokura nel sud del Giappone. La sua generazione aveva fatto molto fatica a stare in Giappone nel tempo della guerra quando Corea e Giappone erano nemici. Perciò suo padre non aveva mai smesso di odiare il nostro paese. Invece lei, che è nata dopo la guerra, non poteva capire quel sentimento, perché aveva tanti amici giapponesi, e le sembrava inutile continuare a odiare il passato. Fino all’età di ventitré anni c’è stato fra loro un profondo disaccordo, tuttavia quando lei ha provato a uscire dal Giappone per studiare negli Stati uniti, il controllo di frontiera le ha chiesto di lasciare le impronte perché era straniera. Siccome ha rifiutato, ha perso il diritto speciale di residenza permanente. E dopo, avendo deciso di trascinare il fatto in tribunale, ci ha messo dieci anni per riavere il diritto cha aveva perso. Alla direzione immigrati del Ministero della Giustizia ha trovato una persona gelida e distaccata. Benché il giapponese normalmente sia gentile ed educato, quando ha una carica statale importante può comportarsi in maniera formale e fredda. Questa esperienza per lei è stata una brutta scoperta. Grazie a questa esperienza è finalmente riuscita a capire il motivo per cui suo padre non ha mai potuto smettere di odiare; perché durante della guerra lo stato giapponese lo trattava con molta freddezza, e i ricordi hanno occupato tutta la sua vita. Lei ha detto, “Capisco che i ricordi forti abbiano la capacità di dominare una persona.” Penso che queste parole possano essere una risposta alle angosciose domande degli abitanti di Hiroshima. Perché ci potrebbero essere dei sopravvissuti che hanno creduto nell’utilizzo civile dell’energia atomica per tentare di allontanare i crudeli ricordi.

Il viaggio verso Hiroshima mi ha lasciato una sensibile ricordo dell’aria umida e terribilmente calda. La temperatura che fa fermentare i lieviti volati nell’aria e che potrebbero essere i frammenti diffusi dall’esplosione di sessantuno anni fa. Penso che il ricordo sia come il seme delle piante e come le tracce sul pianoforte sopravvissuto. Fermentando per lungo tempo nell’aria calda e umida il seme della memoria si gonfia e fa crescere le piante annerite dal esplosione che legano il passato all’oggi. Spero di avere con la mia mostra fatto germogliare qualche seme di quel luogo così ricco di piante.

Asako Hishiki Settembre 2011


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